domenica 12 febbraio 2012

Semi di sesamo

Sesamum indicum
Il sesamo (Sesamum indicum) è una pianta erbacea di origine orientale appartenente alla famiglia delle Pedaliaceae. I suoi semini trovano largo utilizzo in cucina, soprattutto giapponese e cinese.
Il seme contiene circa il 50% di olio ed è forse il primo da cui è stato estratto un olio vegetale.
Se ne conoscono numerose varietà, distinte soprattutto in base al colore dei semi che possono essere bianchi (dal piacevole sapore di noce reso più intenso dalla tostatura), neri (dal retrogusto terroso ma non spiacevole, usati soprattutto a scopi decorativi) e rossastri.
Il sesamo ha un potere calorico di tutto rispetto ma i grassi che contiene sono per lo più insaturi, utili alleati della salute. Importante il contenuto vitaminico e di sali minerali; le proteine sono di ottima qualità perché ricche di aminoacidi essenziali. Peculiare la presenza di sesamina e sesamolina (con un ruolo attivo nel controllo dei livelli di colesterolo) e di sesaminolo (protettivo nei confronti dei radicali liberi).
L'olio si conserva a lungo in un luogo fresco e buio (per evitare l'irrancidimento)  mentre i semi essiccati e tostati durano anche più di un anno se conservati in un contenitore a chiusura ermetica.
Gli usi in cucina sono molteplici:
  • si va dal semplice olio ottenuto per spremitura a freddo dei semi e usato come condimento
  • al tahin, un vero e proprio burro di sesamo
  • all'halvà, un dolce ottenuto mescolando il tahin con il miele e i pistacchi
  • al gomasio, una miscela di semi di sesamo tostati e tritati e sale marino
  • e ancora all'uso dei semi per arricchire impasti di prodotti da forno, per guarnire insalate o per panature dal sapore orientale

venerdì 10 febbraio 2012

Poco sale, fin da piccoli!

Una ricerca americana (pubblicata quest'anno sull'America Journal of Clinical Nutrition) ha dimostrato che proporre alimenti insipidi ai neonati riduce la voglia di salato da grandi.
L'imprinting del gusto risale ai primi mesi di vita ed è quindi molto importante ritardare il più possibile l'introduzione dei cibi salati ed educare i bambini molto piccoli a mangiare alimenti con poco sodio, per evitare che il desiderio di aggiungere sale diventi una consuetudine difficile da modificare.
Purtroppo l'industria non ci viene in aiuto proponendo spesso pappe con un contenuto di sale elevato; questo non fa altro che alimentare la passione per i cibi salati fin da piccoli influenzando le scelte future. E cibo salato vuol dire cibo industriale, cibo confezionato.
Negli ultimi mesi il dibattito su questo argomento si è fatto sempre più rovente, con studi che spesso hanno risultati diametralmente opposti e, come sempre accade in queste situazioni, il messaggio che arriva ai consumatori risulta confuso.
Dietro tutto questo, soprattutto negli Stati Uniti, ci sono anche (ma non solo) le grosse industrie alimentari che negli anni hanno aumetato, insieme alle dimensioni delle porzioni, ai grassi e agli zuccheri, anche la quantità di sale nei cibi preconfezionati per conferire "sapore" agli alimenti. L'esito è un danneggiamento diretto o indiretto della salute dei consumatori di tutte le età: infatti un piatto più salato spinge a bere di più e quindi aumenta il consumo di bevande gasate e zuccherate. Vero è che il sodio è indispensabile alla vita, e ciò spiega anche l'atavica passione dell'uomo per il gusto salato, ma quando è troppo può arrecare danni molto gravi al sistema cardicircolatorio. Non serve aggiungerlo in quanto il sale di cui abbiamo bisogno è largamente presente nel cibo buono e naturale.
Quindi, W le pappine insipide! E quando assaggiamo, non basiamoci sul nostro senso del gusto, magari abituato (o ancor peggio assuefatto) al sapido, ma immaginiamo di riempire di sapori una lavagna bianca...meno cose ci scriviamo ora, più gusti potranno essere apprezzati in futuro dal nostro bambino.

(Articolo pubblicato sul N°2 del Giornale della Valcamonica)