domenica 19 aprile 2020

Un gulash tra i tanti

Più che un piatto è un aggettivo che indica un modo di preparare la carne bovina (adattabile però anche al pollo e perfino al pesce).
Originario dell'Ungheria, si presenta come un piatto dalla consistenza di una zuppa. Si tratta di una preparazione molto antica e sostanziosa, ma povera, le cui origini sono attribuite ai mandriani ungheresi.

Gli ingredienti per 4 persone: 
  • carne bovina 800g (io ho usato lo scamone)
  • 2 cipolle grandi 
  • un paio di spicchi d'aglio schiacciati 
  • un cucchiaio di paprika dolce 
  • 40g di burro
  • 1 foglia di alloro
  • mezzo litro di brodo di carne 
  • un po' di farina per infarinare 
(Ci andrebbe anche il cumino, ma a me proprio non piace).


Ho scelto una preparazione di base, senza verdure e carboidrati (perché volevo accompagnarlo con della polenta), ma voi potete aggiungervi verdure (ad esempio peperoni) e patate, ad esempio. 
Il primo passaggio consiste nel far ammorbidire (non friggere) per qualche minuto la cipolla nel burro sciolto a fuoco lento. Poi si alza la fiamma e si aggiunge la carne tagliata a pezzettoni e infarinata, l'alloro, l'aglio e la paprika, lasciando rosolare per qualche minuto.


Si aggiunge, a questo punto, mezzo litro di brodo già caldo. Si copre e si lascia cuocere a fuoco lento per 3 ore, mescolando regolarmente. Il risultato è una zuppa cremosa di carne morbidissima e saporita.

Io l'ho accompagnato con dei fagiolini lessati e della polenta.
Ottimo se preparato il giorno prima per gustarlo quello successivo. La lunga cottura, e il fatto che si debba tenere d'occhio, ne fa un piatto sicuramente adatto a questi giorni lenti. Perché quindi non farne scorta in freezer per quando di tempo ne avremo poco?
Attenzione: data la natura "cipollosa" niente assaggi ai cagnini, se anche voi ne avete! 

martedì 7 aprile 2020

Abbiamo un cervello goloso?

Alzi la mano chi, in questo periodo estremo, non ha cucinato qualcosa. Si sono sperimentati ai fornelli anche i più restii, quelli che mi dicevano “dottoressa non mi faccia spadellare, neanche un uovo al tegamino!”.
In effetti, cosa c’è di più comune dell’assaporare una pietanza e trarne piacere? Cos’è più naturale di mangiare quando si ha fame e smettere quando si è sazi? Perché, a volte, siamo portati a tradire la saggezza del corpo e a lasciarci sedurre dal miraggio di zuccheri e grassi dei cibi industriali?
Ho osservato questa tendenza sui social con curiosità professionale, colpita da come il cibo sia salito di livello: da semplice strumento di sopravvivenza e raffinata fonte di piacere.
Oggigiorno è abbastanza chiaramente documentato il rapporto tra preferenze e abitudini alimentari; conosciamo in modo dettagliato i complessi circuiti neurali da cui dipendono i nostri più semplici comportamenti e sappiamo come il nostro cervello esprime il bisogno di nutrimento attraverso lo timolo della fame. Si tratta di meccanismi biologici consolidati nel corso di milioni di anni di storia evolutiva.
Non ci stupirà sapere che sono il gusto e il piacere che ci orientano nelle scelte alimentari. Sono lo stratagemma utilizzato dall’evoluzione per farci compiere quelle azioni che ci hanno portato ad essere quelli che siamo oggi. Ma il panorama moderno, non è quello che ci ha plasmato… l’evoluzione tecnologica e l’industria alimentare hanno creato prodotti che, in modo via via più raffinato, soddisfano le esigenze edoniche di un consumatore sempre più recettivo. Esiste a tale scopo perfino una professione, quella del tecnico degli aromi.
Ma perché mangiare procura piacere? In modo semplicistico, perché la sensazione generata dagli alimenti sugli organi del gusto e dell’olfatto possiede anche un valore affettivo, una dimensione edonica. L’odore, il sapore, la maturazione, il metodo di cottura, sono tutti parametri che ci “toccano” emotivamente, generando piacere o disgusto. Non sentiamo solo odori o gusti, ma sperimentiamo ricordi e sentimenti. Si tratta di complesse reti neurali di cui, pur non avendone merito o colpa, dobbiamo avere consapevolezza al fine di guidare le nostre scelte alimentari verso un percorso di salute e benessere.
È stato ormai ben dimostrato che il cibo spazzatura induce dipendenza, in quanto agisce sui recettori della dopamina in maniera del tutto simile alle droghe. In pratica, in alcune persone, il cibo agirebbe come un antidepressivo contribuendo a regolare il tono dell’umore.Capire i meccanismi fisiologici che stanno alla base dei nostri comportamenti forse non è la soluzione a tutto. Ma può aiutare a sentirsi meno soli e a non provare vergogna o frustrazione quando si viene accusati di mangiare solo per gola e pigrizia.Riconosciuto il problema, la soluzione è più a portata di mano.

Per approfondire, leggete questo:


Il cervello goloso - André Holley