Illustrazione di Gianluigi Marabotti |
La triade femminile
dell'atleta è una sindrome che è stata definita per la
prima volta nel 1993 e poi esaustivamente descritta nel 2007 dall'
American College of Sports Medicine (ACSM); essa è caratterizzata
da tre aspetti fortemente connessi con lo stato di nutrizione:
amenorrea (assenza di tre cicli consecutivi), osteoporosi e disordini
alimentari. Tutti segnali che il corpo mette in atto per bloccare il funzionamento di alcuni meccanismi fisiologici non indispensabili alla sopravvivenza quando le energie disponibili sono a malapena sufficienti per il mantenimento delle funzioni vitali. Uno dei meccanismo "boicottati" da un fisico in carenza energetica è il sistema riproduttivo; in fondo una donna senza energie per se stessa non potrebbe certo portere avanti una gravidanza senza correre rischi per la salute.
Le donne che ne sono
colpite hanno in comune diverse caratteristiche:
- sono giovani (in particolare adolescenti)
- hanno una personalità estremamente competitiva, perfezionista ed autocritica
- la disciplina sportiva enfatizza la magrezza e la bellezza (ginnastica artistica, pattinaggio, danza, ecc.) oppure la categoria di peso (ad esempio la lotta)
- gli allenamenti non consentono un adeguato recupero
- vi è una forte pressione da parte dei genitori e degli allenatori riguardo la performance
- si dedicano a tempo pieno alla disciplina senza attività ricreative
Partendo da queste basi,
i problemi solitamente esordiscono con il sovrapporsi di picchi di
esercizio fisico particolarmente intensi e regimi nutrizionali
restrittivi ed inadeguati, al fine di raggiungere particolari
obiettivi richiesti dalla disciplina in questione. La
maggior parte degli effetti si manifestano
al di sotto di una disponibilità di energia di 30 kcal/kg di massa
magra al giorno e con una percentuale di grasso inferiore al 3-5% per i maschi e 12-16% per le femmine.
Tali
comportamenti alimentari non salutari possono essere messi in atto
involontariamente (ad esempio facendo un allenamento più intenso
senza aggiustare l'introito calorico) oppure intenzionalmente; in
questo caso la strenua determinazione a raggiungere determinati
standard di peso può, per alcuni atleti, basarsi su un disturbo
alimentare di gravità clinica che richiede un tempestivo intervento
psicologico.
Ciò ha come conseguenza
una perdita di peso, in particolare a scapito del grasso corporeo e
quindi una ridotta sintesi di estrogeni. La conseguente disfunzione
ipotalamo-ipofisaria, insieme allo stress pico-fisico e a
modificazioni ormonali indotte dall'allenamento, causa uno stato di
amenorrea secondaria. La prevalenza dell'amenorrea dipende dall'età,
dall'allenamento e dal tipo di sport praticato ma è ormai dimostrato
da diverse ricerche che è più frequente nelle atlete d'elite
che nella popolazione generale.
Le irregolarità
mestruali portano a loro volta ad una diminuzione della densità
ossea che può arrivare fino all'osteoporosi. Ciò sia a causa di una
diminuzione degli estrogeni circolanti che aumenta il riassorbimento
della matrice ossea, sia per l'insufficiente introito calorico che
riduce i processi di neoformazione (bastano 5 giorni con meno di 30
Kcal/Kg di peso corporeo). Dopo il picco di massa ossea che si
verifica tra i 18 e i 25 anni, la densità minerale ossea diminuisce
fisiologicamente di circa lo 0,4% ogni anno. Per le atlete con una
storia di amenorrea si può arrivare a perdite del 6% annuo con
picchi che raggiungono il 25% della massa totale ossea. Le ossa di
una giovane atleta possono quindi essere più fragili di quelle di un
anziano ed esporre quindi ad un rischio maggiore di fratture. Anche
se ciò rappresenta la principale conseguenza medica della triade
dell'atleta, gli effetti sulla salute sono davvero numerosi e
colpiscono diverse aree mediche.
Proprio per la gravità delle conseguenze sulla
salute l'ACSM raccomanda di pianificare tempestivamente interventi
correttivi, non oltre tre mesi dalla comparsa dell'amenorrea.
Quali sono i
comportamenti da mettere in atto? Sicuramente ridurre l'intensità
dell'allenamento di almeno il 10% e migliorare l'introito calorico al
fine di ottenere un aumento del peso di almeno il 2 o 3%, mantenendo
l'assunzione giornaliera di calcio intorno ai 1500 mg/die. Il team di
cura deve per forza essere multidisciplinare e costituito da un
medico, un nutrizionista e una psicologo con conoscenze specifiche
nell'ambito sportivo.
Per un intervento ancora
più precoce, e quindi efficace, è fondamentale una adeguata
informazione e formazione delle atlete stesse ma soprattutto delle
famiglie, degli allenatori e di tutto il sistema che ruota intorno al
mondo sportivo in modo che sia sempre la salute ad essere sul gradino
più alto del podio.
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